Tecnologia e Internet
Call of Duty: WWII, recensione del nuovo sparatutto
Tre anni di sviluppo ci sono voluti a Sledgehammer per dare alla luce Call of Duty: WWII, ennesima tappa del brand Activision che dopo aver esplorato le possibili applicazioni della tecnologia sulla pelle dei soldati, torna con i piedi per terra, letteralmente.
Il nuovo capitolo dalla saga di FPS più giocata di sempre è un inno al passato, sia nelle idee che nella pratica. La Seconda Guerra Mondiale è il giusto palcoscenico dove poter evocare atmosfere crude e violente, unite a un gameplay che dimentica gli errori del passato e ci (ri)propone una struttura che non possiamo non apprezzare.
Quella classica di Call of Duty: solida, divertente e impegnativa. World War II è senza dubbio un centro al bersaglio, reso possibile da un team di sviluppo che dimostra ancora una volta grandi capacità e, soprattutto, la giusta visione.
Si ritorna al passato…
Fin dall’annuncio in primavera è stato comunque chiaro quale fosse il focus della questione per l’annata 2017/2018: tornare a combattere l’Asse, cancellare jetpack ed esoscheletri, rimettere i cosiddetti “stivali a terra” (“boot on the grounds”, come è stato ripetuto a ogni pie’ sospinto, a terra, in questi mesi).
La campagna naturalmente rappresenta l’occasione più spettacolare e intrigante per capire quali frutti abbiano dato i tre anni di lavoro della squadra di Schofield e Condray. Ed è una campagna che non si fa troppi problemi nel ripartire sempre da lì, da quel 6 giugno 1944 che è più semplicemente il “D-Day”.
Dalle spiagge di Normandia e dallo scontro più rappresentativo tra le forze di liberazione e quelle dell’oppressione tedesca. Per mesi ci si è chiesto esattamente quale senso potesse avere ripercorrere ancora la stessa strada già percorsa da innumerevoli sparatutto a tema bellico negli anni.
Sledgehammer Games rispondeva che le generazioni di giocatori cambiano e oggi esiste tutta una serie di appassionati che non ha mai messo piede (virtuale) su Omaha Beach, non grazie a Call of Duty perlomeno. Tutto vero, ma non è ancora la spiegazione migliore.
La realtà, dopo aver di nuovo rivissuto quel momento e dopo averne visti tanti altri prendere vita sullo schermo, nella solita manciata di ore richiesta per arrivare alla sequenza dei riconoscimenti, è che questa seconda guerra mondiale non è mai stata tanto impressionante quanto oggi.
Anche le sole possibilità tecnologiche hanno reso lo sbarco in Normandia del soldato semplice Daniels, protagonista della vicenda, una questione da fiato mozzato e occhi spalancati.
L’impatto scenografico conta e per quanto ciascuno giustamente debba decidere in autonomia quanto, esattamente, conti è indiscutibilmente vero che la seconda guerra mondiale di Call of Duty WWII possa avvalersi di un impatto mai visto prima nei videogiochi.
Un viaggio intenso, la storia concentrerà diversi mesi di combattimenti nelle canoniche 5-7 ore, che non lesina in momenti spettacolari alternati ad altri sorprendentemente più pacati, nei quali Sledgehammer mostra di aver osservato la concorrenza (Wolfenstein in particolare), legando le frenetiche sparatorie con scene di raccordo nelle quali approfondire la storia e i personaggi, il tutto a beneficio dell’atmosfera.
Tra queste non possiamo non sottolineare la missione nella quale saremo sotto copertura o i momenti nei quali dovremo eseguire alcuni semplici commissioni nel nostro accampamento, due chiari esempi, assieme ad un minimo di distruttibilità degli edifici, di come lo sviluppatore abbia provato a esplorare alcune varianti alla classica formula narrativa utilizzata nei Call of Duty.
Certo, non mancheranno i classici momenti nei quali la retorica a stelle e strisce prenderà il sopravvento (dove sono i russi? Possibile che tutti i tedeschi siano cattivi?) o quelli dove il colpo di scena è piuttosto telefonato, ma nel complesso la vicenda si segue in maniera più che godibile, alla stregua di un colossal hollywoodiano, anche grazie alle tante citazioni a celebri pellicole inserite durante storia.
Molta attenzione è riversata nella caratterizzazione dei personaggi che, nel limite del possibile, riusciranno ad avere ognuno un quadro abbastanza ben delineato. A livello strutturale poi la campagna di WWII presenta due novità: la vita che non si rigenera più automaticamente, e le abilità dei compagni.
Le cose sono in realtà collegate, in quanto le skill dei nostri alleati ci permetteranno, tra le altre cose, di ripristinare la salute del protagonista. Sarà quindi fondamentale stare compatti e uccidere quanti più nemici possibili, per caricare una piccola barra che una volta piena ci permetterà di usare le abilità in questione.
Avremo a disposizione, per esempio, la capacità di evidenziare i nemici a schermo, oppure chiamare un attacco di mortaio, o ancora ricaricare tutte le nostre armi e, ovviamente, farci dare dei kit per ripristinare la salute.
Quando il plotone di Daniels si muove verso la campagna francese saluta il passaggio degli aerei alleati sulle loro teste. Inclinando lo stick analogico si alza la visuale per inquadrare lo stormo d’acciaio che riempie il cielo per un istante e fa tremare il sub woofer.
Quando nei boschi al confine con la Germania dal nulla sbucano, muovendosi nella neve, decine e decine e decine di soldati dell’esercito nazista, decisi a fermare la nostra avanzata, è complicato lamentarsi ancora di aver già vissuto questa scena.
Quando si cammina tra quel che resta di una città, finendo poi per infilarsi in una caccia tra Jagdpanther e carri alleati, è dura non farsi prendere dalla potenza dell’immagine e della costruzione degli scenari. E se vi basta, questo è esattamente quanto di più importante ci sia da segnalare riguardo alla vicenda del soldato Daniels.
Nonostante un buon carattere generale non è però esenti da problemi. Infatti on una IA più elaborata, un grado di sfida più impegnativo ed una sceneggiatura meno banale, Call of Duty: WWII avrebbe potuto trasformarsi in una intensa “storia di uomini”. Per ora, invece, è solo un’altra “storia di guerra”.
In questo modo Sledgehammer ha dato un nuovo ritmo a tutta la campagna, più lento e faticoso, nel quale rimanere sempre nascosti dietro un riparo e vicini ai propri compagni. A meno di voler rimanere senza munizioni e circondati dai nemici.
Quindi l’idea di ricreare un war movie interattivo può considerarsi riuscita malgrado alcune lacune che rischiano di minarne la credibilità. Si tratta però di elementi che seppur poco rifiniti non intaccano la fruizione di un single player che si piazza, nel complesso, tra i migliori della saga.
Da non dimenticare la modalità nazi zombies che è fatta molto bene e non fa di certo rimpiangere quella dei precedenti, soprattutto quella del buon World at War.
Dimenticate i vecchi Call of Duty futuristici che avevano fatto perdere allo sparatutto più famoso del mondo quel sapore che lo rendeva il migliore. Con questo capitolo si è riportato alle origini tornando di nuovo quello di un tempo.
E il Multiplayer ?
Il comparto multiplayer di WWII è estremamente solido e, cosa più importante, completo: il gameplay praticamente perfetto viene esaltato da un ecosistema di attività ricco di opzioni, sempre stimolanti. Specializzarsi in una Divisione, prestigiare, portare a termine gli Ordini, ottenere tutte le armi speciali.
Ci sono davvero molte cose da fare e siamo sicuri che se i player più hardcore saranno ben incentivati, i neofiti lo saranno ancora di più, trovandosi di fronte a un FPS che prova a migliorarsi aggiungendo contenuti e alternative.
Fiore all’occhiello è certamente la modalità Guerra, che al contrario del classico PvP, caratterizzato da una forte anima competitiva (sia nel gameplay, che nel level design) suggerisce un approccio più scanzonato e cooperativo.
Prendendo spunto da Rush della serie Battlefield, War Mode divide i team in attaccanti e difensori, con i primi che non dovranno solo conquistare il punto A, B o C, bensì saranno chiamati a svolgere obbiettivi dinamici che variano sempre, di mappa in mappa.